CARLO  IMPROTA   L'arte dell'inconscio.               L'arte dell'inconscio.               L'arte dell'inconscio.

  Life in the work

Visionarietà e selvaggismo                             di    

                 Carlo    Improta

 In una nota tesa a riproporre la sottoscrizione e la verifica da parte degli operatori artistici della prospettiva essenziale di organizzarsi in gruppi e su ipotesi autonome per sfuggire ai processi di omologazione dei progetti e dei linguaggi egemoni, Franco Solmi s'interessa favorevolmente  alle pratiche pittoriche di Carlo Improta soprattutto per due fondamentali coordinate: la visionarietà e il selvaggismo.

              Dall'incontro con Solmi a oggi, il registro delle tensioni espressive dell'artista si è venuto aprendo anche ad altre opzioni, tra cui due sembrano prioritarie: le citazioni di volti, come di comparse inattese e destabilizzanti, e il confronto con lo spazio e con la materialità che lo attraversa e lo anima calcolandolo e interrogandolo secondo misure di tipo neocostruttivistico.

              Difronte allo stato presente dei lavori, non è facile fare previsioni sugli svolgimenti prossimi venturi dell'artista. Ma un romanzo, di recente stampa ( Tecla, Napoli, Lettere Italiane, 2000 ) conferma che l'immaginario di Improta ruota, sotto l'urgenza di spiegare ( narrativamente ) e di razzionalizzare le scelte esistenziali e poetiche di chi si vota all'arte ( significativamente il sottotitolo del libro suggerisce: " Viaggio introspettivo tra arte e amore"), attorno agli assi rilevati da Solmi. In una pagina, che è di pausa e di meditazione al centro del libro, si afferma che l'arte è " metamorfosi interiore tormentata e drammatica". E, a commento della condizione di sofferenza degli artisti conseguente all'impatto straniante e conturbante con i nuclei di mistero e di oscura verità dell'essere, è scritto: " Però non li deridiamo e se non li comprendiamo, accettiamoli così, come si accettano i pazzi" (p.88).

             Il concetto, dunque, dell'arte (e della poesia) come pratica liberatoria dalle coazioni della normalità e come trasgressione rispetto allo scontato e al banale della vita, su  pulsioni latenti che intanto sospingono al disopra della soglia della coscienza immagini e segni enigmatici e arcaici, viene marcata e in chiave di rappresentazione inventiva e in chiave di riflessione. Vuol dire che Improta si aggira intorno a nuclei di indagini non occasionalmente e che viene ribadendo la sua coerenza e la sua fedeltà a un antico impegno. Che, naturalmente, richiede lo scotto quotidiano della macerazione e della scarnificazione, come il pittore viene riscontrando di fronte a ipotesi di nuovi squarci d'interrogazione e di rappresentazione o diegesi linguistica.

             A questo punto la sfida con cui è chiamata a confrontarsi la sua intelligenza, è del sottrarre e scavare materia dal corpo delle suggestioni e di far emergere soltanto quello che proprio non è possibile non dire. Con la clausola sottoscritta in premessa che ciò che compare in superficie è un frammento, che proprio non si può nascondere, di un flusso che urge e scorre tormentoso, assordante, sussultante, sotterraneo.

            Più persuasivi , allora, risultano i rinvii dei reperti salvati e conservati a ciò che non si vede e che è, come ha messo in luce la modernità, da Rimbaud e Lautrèamont in poi, più coinvolgente di ciò che si vede.

                                                Ugo   Piscopo 

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